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lunedì 24 gennaio 2011

Val Grana





Il Santuario di Castelmagno




Domenica 23 gennaio 2011


Il  mio rapporto escursionistico con la Val Grana continua ad essere  casuale e  frutto di  circostanze come la prima volta nel 1989, la seconda volta nel 2000 e oggi  la terza nel 2011. Curiosa la circostanza di 11 di distanza da ciascun evento; in questa occasione devo però ringraziare la cordiale insistenza di un’amica che invitandomi in questo sito mi ha permesso di trascorrere una giornata meravigliosa.
Dal mio comune di residenza abbiamo comunque impiegato circa due ore circa di viaggio e quando abbiamo raggiunto il piazzale antistante al Santuario di Castelmagno erano le 11,00 circa. Ovviamente l’escursione è stata modulata in base al tempo a disposizione e valutando di camminare sul versante Sud-est soleggiato. Vediamo ora dal punto di vista geografico,a nord la Val Maira a sud il Vallone dell'Arma ; la disposizione delle vette intorno a noi seguendo la direzione dell’asfalto ricoperto di neve che porta al Colle d’Esischie. e tenendo  come riferimento una frazione poco oltre  Campomolino come punto virtuale di inizio della dorsale. Per cui sulla sinistra abbiamo nell’ordine Punta dell’Omo, Passo Borel, Monte Borel, Colle Viribianc, Cima Viribianc , la Punta del Parvo di fronte a noi Dal  Colle d’Esischie a scendere sul versante Sud-Ovest la Rocca Negra, la Cima Reina, il Monte Tibert (seminascosto dalle due precedenti vette) poi il Monte Crosetta e la Punta Castellar.




Sullo sfondo la Punta Parvo

IL percorso è tutto sommato agevole, la pista poco frequentata nella parte bassa e tranne in un paio di circostanze non incontriamo alcuna difficoltà lungo il percorso sulla destra del quale sono situati alcuni alpeggi piuttosto anonimi uno di questi sulla mia cartina risulta essere Grange Borgis a 1876 metri. In ogni caso intorno alle 13,30, raggiungiamo il falsopiano terminale situato a 45 minuti dal Colle d’Esischie, segnalo che poco prima avevo perduto la mia nuova macchina fotografica recuperata prontamente da uno sciatore che scendeva a valle e che me l’ha restituita. Pausa qualche foto e poi optiamo per il ritorno vista la tarda ora, la neve che cede e l‘ombra incombente col sole che volge a Ovest. 


A circa un'ora dal Colle d'Esischie






Raggiungiamo in poco più di un’ora il Santuario e andati  oltre ci fermiamo in una trattoria a fare merenda (si fa per dire), gnocchi alla Castelmagno e carne di Cervo con polenta che per altro non avevo mai mangiato in vita mia. Bellissima esposizione di Randun all’interno della trattoria prontamente fotografata. Un bel po’ di conversazione con conoscenti della mia amica Gabry e poi il ritorno dopo esserci approvvigionati di acqua a una sorgente nei pressi del bivio che da Campomolino porta al Colletto. Giornata indimenticabile!Dimenticavo ,una sola nota stonata "La Tana della Marmotta" quel piccolo locale in cui andai a pranzare nel lontano 1° Novembre 1989 era desolatamente chiuso e fatiscente con un cartello "Vendesi"!






Una Bella esposizione di Randun









“L’ultima borgata”, piccolo mondo odierno tra i monti cuneesi



L'ultima borgata
L'ultima borgata
“Mario Sarotto, un architetto di 61 anni, s’ imbatte per impegni di lavoro in una borgata della Valle Grana. Un luogo abbandonato a causa della durezza di una vita aspra ed impossibile da affrontare senza l’ausilio delle forti braccia degli uomini e dei giovani decimati da due guerre mondiali. Una comunità viva di cui resta un luogo svuotato della vita e celato dalla quiete della montagna”. Comincia così la storia narrata nel film documentario “L’ultima borgata”, di Alberto Cravero e Fabio Mancari. Un viaggio tra le montagne del cuneese.
“Strette strade chiuse tra le case che nel silenzio nascondono le voci dei bambini che correvano e giocavano. Case con letti ancora pronti per sonni che non verranno più consumati. Una scuola con i banchi allineati che non serviranno a nessun allievo. Una chiesa visitata da qualche vandalo di passaggio. Case di pietra costruite con fatica che, ancora oggi, trasudano la vita delle decine di famiglie che le abitavano.
Questa è la Borgata Narbona oggi, un luogo dove il tempo si è fermato, in cui il silenzio lascia spazio per immaginare la vita che è stata. Questo silenzio ha scavato nella sensibilità di Mario. La sintonia tra lui e la borgata è quasi immediata: dove tutti vedevano solo ruderi abbandonati lui invece ebbe la sensibilità di percepire un luogo ancora vivo per troppo tempo dimenticato e non accetta che quel passato possa andare perduto definitivamente. Provocatoriamente prende la residenza a Narbona e da sette anni la mantiene. Narbona è un luogo che Mario Sarotto ha deciso di non lasciar morire.
Insieme alla Facoltà di Agraria dell’ università di Torino ha cominciato a ritracciare le piste per gli alpeggi, per far ritornare i margari a pascolare le mucche per produrre il prestigioso formaggio Castelmagno ed ha studiato la possibilità di creare un ecomuseo di Narbona. Queste sono solo due delle innumerevoli iniziative di Mario a difesa di un luogo da vivere responsabilmente e civilmente. Questa è la storia di un intreccio tra la vita di un uomo e la vita di una borgata montana abbandonata, due percorsi che si sono uniti e che ostinatamente proseguono insieme il loro cammino”.
Il documentario ha il patrocinio della Provincia di Cuneo e del comune di Castelmagno, ed è ambientato nella borgata Narbona in provincia di Cuneo. Il progetto è presente sul sito Produzioni dal basso al link: http://www.produzionidalbasso.com/pdb_520.html: attraverso questa pagina si può sostenere il film prenotando il dvd del documentario che uscirà e verrà distribuito dal mese di Aprile 2011.






Storia



Chi percorre l'alta valle Grana, superando gli abitati di Chiotti e di Chiappi, può osservare come la valle si apra in una ampia conca, ricca di vegetazione. Grazie alle condizioni climatiche favorevoli, questa zona da secoli è stata percorsa,nei mesi estivi, dalle greggi dei pastori.La prima testimonianza storica a noi giunta è un'ara, cioè un altarino, dedicata a Marte, venerato dai Romani come dio preposto alle attività dei campi, ai confini, e alla attività bellica che poteva assicurarne la difesa. L'iscrizione sulla lapide, decifrata nel 1953, recita: " A Marte, Dio Ottimo e Padre, Esdulio Montano costruì un'ara, sciogliendo volentieri il suo voto". Questo reperto fu portato alla luce nel 1894, dopo lavori fatti per abbassare il piano della cappella Allamandi; in tale occasione vennero ritrovate dodici tombe, vasi, lampade e oggetti vari, tra cui alcune monete di rame di epoca imperiale, risalenti circa al 250 d. C.Agli inizi dell'era cristiana, dunque, l'alta valle era già frequentata dai pastori delle popolazioni gallo-liguri da poco sottomesse ai Romani; già allora il promontorio naturale su cui sarà costruito il Santuario era considerato luogo propizio per la preghiera e i sacrifici votivi. Le tradizioni su San Magno Il messaggio cristiano si è diffuso nelle vallate del basso Piemonte nel III secolo; si sa che in questo periodo San Dalmazzo percorreva le Gallie predicando il Vangelo con i suoi compagni, e che morì martire. Questo fatto ha indotto alcuni a pensare che Magno fosse uno dei compagni del santo di Pedona (oggi Borgo san Dalmazzo), e che anch'egli avesse subito la stessa fine, come attestava la memoria liturgica. Il culto di san Magno, in ogni caso, compare nel Piemonte sud occidentale con il risorgere delle strutture monastiche benedettine a partire dal secolo XI, dopo la distruzione saracena del 900 d. C. Negli anni '30 del nostro secolo, alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che san Magno fosse un monaco benedettino, di cui varie biografie e testimonianze iconografiche attestano l'esistenza. Nato nel 699 da una famiglia romanizzata della Rezia, nell'attuale Svizzera tedesca, entrò nel monastero di san Gallo. A quarantasette anni partì e si stabilì a Füssen, nell' Algäu, boscosa regione della Baviera meridionale. Il monaco si distinse per l'instancabile opera di evangelizzazione, costruzione di edifici sacri, e soprattutto opere per migliorare le condizioni di vita degli Alamanni. Dopo la sua morte, avvenuta nel 772, si diffonde, tra i benedettini e le popolazioni ad essi legate, il culto e il pellegrinaggio alla tomba di san Magno, ricordato e raffigurato particolarmente in connessione al mondo della attività dei campi. Attraverso il Tirolo e i cantoni svizzeri, la sua venerazione si diffonde nell'Italia del Nord e del centro. La maggior parte della iconografia su san Magno presente nella provincia di Cuneo risente di un'altra tradizione. Il santo è ritratto come legionario romano con lancia e vessillo o scudo bianco crociato di rosso (un richiamo, sembra, alla croce dei Savoia).Questa tradizione trova attestazione solo a partire dal 1604, quando lo storico Guglielmo Baldesano pubblicò un'opera, con la quale, forse per far cosa gradita a Carlo Emanuele I di Savoia, considerò soldati martiri ben 97 santi il cui culto aveva profonde radici nella popolazione del Ducato di Piemonte. Si sa che questa tesi non aveva solide radici storiche, ma si basava sulla leggenda della Legione Tebea. Nasce il SantuarioAgli inizi del '400 a Castelmagno non esisteva ancora una chiesa dedicata interamente al nostro santo; si hanno notizie di una chiesa curata di Sant'Ambrogio e San Magno.Nel 1450 il sacerdote Enrico Allamandi di San Michele di Prazzo, in val Maira, fu nominato Rettore delle chiese esistenti nel territorio di Castelmagno. Sappiamo con certezza che il rettore, per i venticinque anni di sacerdozio, nel 1475 fece edificare e decorare una cappella in stile gotico, dotata di un solo altare rivolto ad Oriente, e con una apertura chiusa da una robusta grata metallica rivolta a ponente. Sulle quattro lunette della volta a crociera si conservano gli affreschi di Piero da Saluzzo; sono raffigurati l'Eterno Padre, i quattro Evangelisti e i quattro principali dottori della Chiesa latina. A fianco della cappella venne eretta anche la torre campanaria, alta 18 metri.Il crescente culto verso San Magno richiese, all'inizio del secolo XVI, l'ampliamento della cappella con una struttura antistante alla precedente. Questa fu eretta nel 1514 e fu dipinta da Giovanni Botoneri di Cherasco; sulle pareti e sulla volta a botte è presente un vero e proprio ciclo pittorico sulla vita di Gesù; sono presenti anche i più importanti santi della devozione popolare della Provincia di Cuneo, e un curioso episodio legato a Santiago de Compostela (attraverso la valle Grana passava una via secondaria per i pellegrini verso la Spagna e verso Roma). Gli affreschi, i cui colori si sono conservati molto vivi, colpisce per il realismo narrativo.Nell'ultimo quarto del 1600 terribili carestie ed epidemie di afta epizootica decimarono il bestiame, e le condizioni di vita nei campi peggiorarono sensibilmente. L'afflusso di pellegrini che chiedevano l'intercessione del santo si fece imponente. Le strutture esistenti non bastavano più, per cui, dopo un altare esterno alla cappella, si decise di costruire un nuovo, più grande tempio. Nel 1716 il nuovo edificio del Santuario era terminato; era stato edificato perpendicolarmente rispetto all'asse dell'antica chiesa. Nel 1775 venne costruito, con marmi pregiati, l'altare maggiore. Nel corso del Settecento il culto di san Magno conobbe una diffusione senza precedenti, specie delle campagne di tutto il cuneese. Altre opere importanti furono portate a termine nella seconda metà dell'Ottocento: nel 1845-48 fu sopraelevato il campanile; tra il 1861 e il 1886 venne edificato l'imponente porticato ai lati del Santuario; sopra le maestose arcate vennero ricavati i locali per l'accoglienza dei pellegrini.Importanti lavori di sistemazione del piazzale antistante il Santuario, con i nuovi locali della mensa, del bar e dei servizi, sono stati portati a termine nel 1995.






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